Nell’anno più difficile, tra produzioni bloccate e sale chiuse, i titoli interessanti non sono mancati. Le scelte di Repubblica
Molti hanno definito il 2020, centoventicinquesimo dalla sua data di nascita ufficiale, l’“annus horribilis” del cinema per le conseguenze della pandemia: blocco della produzione e chiusura delle sale. Difficile negarlo; e tuttavia i film non sono mancati: anche grazie allo streaming che, ci piaccia o no, ha fatto da supplente al grande schermo garantendo all’incolpevole spettatore un minimo di titoli di qualità.
Procediamo quindi alla nostra personale top ten, con una premessa. Alcuni dei film più belli erano del 2019, ma sono arrivati da noi quest’anno: a gennaio (Sorry we Missed you, 1917), a febbraio (Il lago delle oche selvatiche) e oltre (I miserabili). Di non pochi, invece, si è preferito rimandare l’uscita a tempi migliori: dal vincitore del Leone d’oro Nomadland a Tre piani di Nanni Moretti e West Side Story di Steven Spielberg, rinviato addirittura di un anno.
‘Soul’, tutte le anime del cartoon
Negli ultimi mesi sono usciti, in streaming, due ottimi film americani, senz’altro meritevoli di entrare in classifica. Con Soul, della Disney-Pixar, Peter Docter porta a compimento la lunga trasformazione del cartoon, il tipo di film un tempo considerato appannaggio dei minori, in genere “adulto”. La storia del pianista Joe, parcheggiato nell’Antemondo e mentore di un’animuccia riottosa, è emozionante, piena di gag (a volte sofisticate, la sempre godibili a più livelli), anche profonda. E lancia nello spazio un messaggio che ribalta, inaspettatamente, l’ideologia del successo personale implicita nei precedenti film d’animazione a marchio Disney.
‘Mank’, Hollywood si racconta
Appartiene al genere biografico, variante “Hollywood on Hollywood”, Mank di David Fincher, dove si racconta la genesi del famoso Quarto potere attraverso il vero autore della sceneggiatura, lo screenwriter Herman Mankiewicz. Sagacemente narrato in flashback, come il capolavoro di Orson Welles, il film è fotografato in bianco e nero, con “filologiche” tracce sulla pellicola alla maniera del tempo che fu. Mentre l’ottima sceneggiatura funge da omaggio alla professione del protagonista, interpretato da un Gary Oldman mai così bravo.
Benché i buoni titoli italiani non siano mancati, il più rappresentativo della stagione ci sembra il documentario Fuori era primavera: viaggio nell’Italia del lockdown di Gabriele Salvatores, montato da Massimo Fiocchi e Chiara Griziotti. Uno sguardo polifonico sulla quarantena realizzato con riprese di vari formati – dalla pellicola allo smartphone – commovente ma sempre misurato e con una scelta di stile, in sottotraccia, che affida la testimonianza soprattutto ai bambini e agli anziani.
‘Non odiare’, un esordiente da tenere d’occhio
Pur con qualche debolezza nel tessuto narrativo, è stato il miglior esordio italiano dell’anno Non odiare di Mauro Mancini: al centro il dilemma morale di un medico ebreo (ben impersonato da Alessandro Gassmann) che non ha soccorso un neonazista ferito in un incidente stradale.
‘Borat’, il ritorno del kazako
Ha fatto rumore sui media Borat. Seguito di film cinema, seconda incursione sullo schermo dello schizzato reporter kazako creato e interpretato da Sacha Baron Cohen. Il quale usa il ridicolo come un’arma contundente contro Donald Trump e i negazionisti, coglie Rudolph Giuliani con le mani nei pantaloni e potrebbe essere costato al Presidente americano uscente quanto una battaglia perduta.
Se non li avete visti…
Tra i migliori dell’anno, però, c’è spazio anche per titoli meno vistosi. Come l’americano Mai raramente a volte sempre di Eliza Hittman, cronaca implacabile della trasferta di una giovanissima provinciale che va ad abortire a New York, sperimentando l’indifferenza e la solitudine della metropoli. Unico film uscito in (rare) sale a ferragosto, è stato poi recuperato dalle piattaforme in VOD. O come il sorprendente His House di Remi Weekes, il più politicizzato tra gli horror antirazzisti approdati sugli schermi (domestici, nel caso) dopo Scappa-Get Out. O, ancora, Il re di Staten Island dell’eclettico Judd Apatow, tornato alla regia con una commedia drammatica che è anche un trattamento terapeutico del protagonista Pete Davidson, praticamente nella parte di se stesso.
Quanto ai film prodotti l’anno scorso, ma arrivati in Italia nel 2020, i nostri favoriti sono il britannico Sorry We Missed You di Ken Loach e il cinese Il lago delle oche selvatiche di Diao Yinan. Il primo è l’ennesima opera “necessaria”, nonché umanissima, del grande cineasta sulla gente comune stritolata dagli ingranaggi del capitalismo globale. L’altro, un poliziesco struggente e iper-romantico diretto dal regista di Fuochi d’artificio in pieno giorno nella regione di Wuhan, poco prima che il Coronavirus la rendesse tristemente famosa.
Fonte: larepubblica.it