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TELEFONINO E TUMORE

Là dove la scienza tarda ad arrivare, ci ha pensato la giustizia e il fatto che tra le prime ci sia proprio quella italiana, è davvero un evento insolito. Sul fatto che i telefoni cellulari siano in qualche modo dannosi per la salute, il senso comune è pressoché unanime, ma ora, di fronte al provvedimento assunto dalla Cassazione, iniziano ad arrivare anche le prime conferme ufficiali.

Con la sentenza 17438, infatti, la Corte Suprema ha dato ragione a Innocente Marcolini, ex manager affetto da una neoplasia benigna al nervo trigemino, noto come neurinoma del Ganglio di Gasser, diagnosticato nel 2002.

Una patologia tumorale che l’ex dirigente si è detto convinto di aver maturato dopo aver sottoposto la sua persona a oltre sei ore al giorno di telefonate via cellulare per motivi di lavoro, nell’arco di un decennio.

Per questa ragione, Marcolini ha aperto un contenzioso con l’Inail, al fine di vedersi riconosciuto il diritto al risarcimento dell‘invalidità professionale.

Già il Tribunale della Corte di Appello di Brescia aveva fatto pendere la bilancia dalla parte dell’ex manager, obbligando, così, l’ente di infortunistica a ricorrere in terzo grado.

Ora, però, è arrivato anche dalla Cassazione il sì definitivo, che ha giudicato verosimili i riscontri presentati da Marcolini al fine di dimostrare una correlazione di causa tra l’attività svolta, l’esposizione alle onde elettromagnetiche e la patologia.

“Nel caso di malattia professionale non tabellata – si legge nella sentenza – la prova dellz causa di lavoro, che grava sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole certezza“. Insomma, la Corte ha preso in esame tutti i dati e, pur non disponendo di prove inconfutabili della correlazione tra abuso del telefonino e insorgenza del tumore, ha acconsentito alle richieste del manager.

Con la sentenza, la Cassazione ha introdotto, più ad ampio raggio, il principio secondo cui vige anche la validità di tipo probabilistico a comprova dell’eventuale danno subito, includendo in questo processo anche eventuali effetti derivanti dai macchinari nell’ambiente lavorativo e anche da fattori esogeni, non strettamente legati all’attività occupazionale.

Sulla base di questi presupposti, dunque, è stato confermato all’ex manager bresciano l’80% di invalidità, come già stabilito in secondo grado di giudizio, sulla base preminente degli studi non “ufficiali” sul tasso di nocività prodotto dall’esposizione prolungata e ravvicinata alle onde del telefonino.

Dunque, la Corte ha riconosciuto maggiore attendibilità alle perizie indipendenti, rispetto a quelle commissionate dai giganti della telefona mobile, forse implicitamente ritenute di maggior faziosità per via della committenza.

Non a caso, basti ricordare come molte compagnie telefoniche inseriscano – non troppo in evidenza – nei libretti di istruzioni dei loro apparecchi il monito di tenere regolarmente il telefono a alcuni centimetri dall’orecchio a tutela della salute.

Una raccomandazione che vale già come un preventivo scarico di responsabilità nell’eventualità in cui dovesse confermarsi con tutta evidenza scientifica la correlazione tra patologie e utilizzo del telefonino.

Si tratta, insomma, di un provvedimento rivoluzionario, sia per i contenuti finali che per gli strumenti e i principi utilizzati per il loro raggiungimento, che abbatte per la prima volta il muro dell’omertà scientifica di fronte a un rischio che, ora, si presenta sempre più reale, anche sulla carta.

 

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