L’incontro tra il Ministro del Lavoro, Andrea Orlando ed i sindacati ha sortito l’effetto di poter dire, con una ragionevole certezza, quale sarà la prossima riforma delle pensioni che partirà dall’autunno per scongiurare il maxi scivolo di 5 anni, per effetto del termine di Quota 100 il 31 dicembre 2021. Sul tavolo diversi temi, ma su alcuni c’è stata sintonia e potrebbero essere le pietre miliari della nuova riforma delle pensioni. Uscita a 62 o 63 anni, riconferma per un altro anno dell’APE sociale, rafforzamento della previdenza integrativa ed una nuova pace contributiva. Il tutto sotto la stretta sorveglianza del guardiano dei conti, il MEF.
Pensione a 67 anni dopo quota 100
Cosa succede dopo il 31 dicembre 2021, lo sanno tutti! Se non ci sarà presto una riforma delle pensioni che superi il dopo Quota 100, la nuova età per andare in pensione di vecchiaia salirà a 67 anni. Una bella botta soprattutto per quelli che per pochi giorni compiranno 62 anni dopo il 31 dicembre o in egual modo otterranno 38 anni di contributi versati. Infatti, Quota 100 prevede la possibilità di andare in pensione anticipata con la somma di 62 anni di età anagrafica a 38 anni di contribuzione. Per chi matura questi numeri al 31 dicembre 2021, è ammesso di andare in pensione con Quota 100 anche nel 2022. Mentre per tutti gli altri la pensione diventa una chimera, richiedendo di lavorare fino a 67 anni. Sono esclusi coloro che ancora per il 2021 contano sull’APE sociale o per i lavoratori usuranti. Più fortunate le donne che con Opzione donna, già confermata per tre anni, hanno la possibilità di uscire con 58 anni d’età (59 se “autonome”) e 35 di contribuzione, ma con il calcolo dell’assegno è interamente contributivo.
Al di là del trovare una soluzione a dopo Quota 100 e scongiurare che milioni di lavoratori debbano ancora lavorare per 5 anni (o quasi 4 anni per andare in pensione anticipata con 42 e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne), c’è un problema di sostenibilità del sistema previdenziale ed una questione di equilibrio intergenerazionale.
Riforma pensioni: cosa c’è sul tavolo
Nella presentazione del XX Rapporto annuale Inps sulla previdenza, il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, ha detto che ci sono almeno 13 opzioni di pensione anticipata e che da queste bisogna trovare la strada al dopo quota 100. E cosi, in quel rapporto, sono state presentate almeno tre soluzioni.
Quota 41 per tutti, indipendentemente dall’età. Una soluzione che piace alla Lega e ai sindacati. Perchè abbassa di quasi 2 anni per le donne e tre per gli uomini il numero degli anni di contribuzione per la pensione anticipata. Ma questa soluzione non piace al Ministero dell’economia e finanze perchè il costo di un simile sistema è molto più alto di Quota 100 e non è concepibile, visto che la stessa Quota 100 è stata bocciata dalla Corte dei Conti.
L’altra strada su cui sembra esserci una convergenza è l’uscita anticipata a 62 o 63 anni, con almeno 20 anni di versamenti, con il pagamento della pensione solo sulla base dei contributi effettivamente versati, almeno fino al compimento dei 67 anni, da cui poi si sommerebbe anche la parte retributiva.
Se queste due opzioni sembrano essere quelle su cui ci sarà il confronto per arrivare ad una sintesi da poter mettere nero su bianco e far accettare anche alla Commissione UE, che vigila sui conti del sistema previdenziale italiano, ci sono anche due soluzione che piacciono a tutti e che verranno confermate o addirittura rese strutturali. Sono l’assegno pensionistico sociale detto APE Sociale e Opzione Donna.
APE Sociale: la riconferma nel 2022 è certa
L’aveva già preannunciato Pasquale Tridico, presidente dell’Inps, quando aveva sottolineato che il nuovo sistema delle pensioni doveva essere trovato tra le 13 attuali opzioni di uscita anticipata come l’APE sociale. Non era stata indicata a caso questa misura pensionistica. Ma c’è la convinzione di doverla riproporre almeno per un altro anno. La proposta è quella di presentarla un po’ più rafforzata ma comunque di confermarla per tutelare quei soggetti che si trovano in particolari condizioni soggettive.
Opzione donna: come funziona
Le donne, sia lavoratrici dipendenti che autonome, possono andare in pensione prima con Quota 93 o 94. Si tratta dell’uscita dal mondo di lavoro con 58 anni d’età (59 se “autonome”) e 35 di contribuzione, ma con il calcolo dell’assegno pensionistico che è interamente contributivo. La prestazione decorre 12 mesi dalla data di maturazione dei requisiti, nel caso in cui il trattamento pensionistico sia liquidato a carico delle forme di previdenza dei lavoratori dipendenti; 18 mesi dalla data di maturazione dei requisiti, nel caso in cui il trattamento sia liquidato a carico delle gestioni previdenziali dei lavoratori autonomi.
Per poter fare domanda le lavoratrici dipendenti devono aver cessato di lavorare, dunque risultano licenziate o dimesse. Non è invece richiesta la cessazione dell’attività svolta in qualità di lavoratrice autonoma.
Pensione anticipata per lavori usuranti
Un’altra categoria su cui sembra trovarsi l‘accordo, in quanto vanno tutelati, è quella dei lavori usuranti, per i quali si deve garantire di poter accedere alla pensione con alcuni mesi di anticipo, e soprattutto di non dover subire l’adeguamento della speranza di vita. L’articolo 1, co. 147-148 della legge 205/2017 (legge di bilancio per il 2018) ha dispensato dall’adeguamento alla speranza di vita scattato il 1° gennaio 2019 (cinque mesi) i lavoratori che possano vantare almeno 30 anni di contributi unitamente ad almeno sette anni di attività usurante negli ultimi dieci anni di attività lavorativa oppure per almeno metà della vita lavorativa. Ciò significa che questi lavoratori sino al 31 dicembre 2022 possono andare in pensione di vecchiaia con 66 anni e 7 mesi di età. Chi sono i lavoratori che si possono annoverare tra coloro che svolgono lavori usuranti?
- lavoratori che hanno svolto lavori in galleria, cava o miniera; i lavori ad alte temperature; i lavori in cassoni ad aria compressa; le attività per l’ asportazione dell’ amianto; le attività di lavorazione del vetro cavo; lavori svolti dai palombari; lavori espletati in spazi ristretti.
- lavoratori notturni (6 ore per almeno 64 giorni all’anno, oppure 3 ore per tutto l’anno);
- i lavoratori addetti alla linea di catena;
- i conducenti di veicoli, di capienza complessiva non inferiore a 9 posti, adibiti a servizio pubblico di trasporto collettivo.
Si parla di lavoro usurante se almeno 7 anni degli ultimi dieci anni di lavoro sono stati impiegati in lavori come quelli sopra descritti, oppure per metà dell’intera vita lavorativa.
Pensioni 2022: anticipare 5 anni con la pace contributiva
Piace tanto la misura introdotta nel 2019 dal governo Conte 1, di una pace contributiva che permetterebbe ai lavoratori che hanno dei “buchi” contributivi, di pagarsi quelli anni mancanti di contribuzione per poter andare in pensione senza dover lavorare quello stesso numero di anni. La soluzione piace perchè va nella direzione della flessibilità tanto voluta dai sindacati. Piace alla Ragioneria di Stato perchè il costo di questa misura è molto contenuta. Potrebbe anche piacere all’Inps che comunque vedrebbe il montante contributivo non compromesso, anche se dovesse intervenire con degli incentivi o sconti sul pagamento volontario dei contributi.
Grazie alla pace contributiva, quindi, si potrebbe pagare di tasca propria (l’onere per il versamento dei contributi per i periodi scoperti spetta infatti al titolare) per anticipare l’accesso alla pensione fino a un massimo di cinque anni. Il punto invece è se piace ai lavoratori. Se da un lato anticipare la pensione è un sogno di tantissimi lavoratori e lavoratrici, pagare per andare in pensione lo è un po’ meno, come nel caso della pace contributiva. Ma quanto costa pagare in modo volontario fino a 5 anni di contributi?
Pensione anticipata di 5 anni: quali sono i costi per i lavoratori
Per pagare di tasca propria gli anni di contribuzione non versata per qualsiasi motivo (disoccupazione, inoccupazione, ecc), l’Inps richiede di applicare sulle ultime retribuzioni percepite l’aliquota che è applicata ai lavoratori dipendenti, ossia il 33%. Mentre per il lavoratore, ricordiamo che l’onere è solo del 9% in quanto il restante 24% è a carico del datore di lavoro, per il lavoratore che vuole aumentare la contribuzione in modo volontario, deve pagare tutto il 33%. Quindi su una retribuzione media di 50.000 euro, il costo è di 16.500 euro, all’anno. Ma attenzione! L’Inps potrebbe riconoscere uno sconto, così da incentivare al versamento volontario dei contributi per andare prima in pensione.
La riforma pensioni passa dai fondi pensione
Non si può ormai parlare solo di pensione Inps. Le varie manovre che stanno andando nella direzione di un abbassamento dell’età pensionabile ma con un assegno più basso perché con meno anni di contribuzione, devono poi scontrarsi con il fatto che non si potrà più fare solo affidamento alla pensione Inps, ma anche ad altre forme integrative.
Una delle ipotesi ricorrenti è quella di rendere fiscalmente più appetibile l’accesso sui fondi pensione agendo sull’aliquota e prevendo specifiche agevolazione. E un pacchetto di misure in questa direzione potrebbe anche entrare nella prossima manovra. I sindacati avevano anche proposto una nuova fase di “silenzio-assenso” per favorire la destinazione del Tfr alla previdenza integrativa.
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Fonte: Trend Online