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Infortuni, la colpa è limitata

La Cassazione esclude la condanna del manager, che non equivale a un datore di lavoro. Amministratore di condominio responsabile solo se delegato alla verifica.

Dopo l’infortunio in condominio al dipendente dell’appaltatore, non si può condannare di default l’amministratore: il professionista assume la posizione di committente dei lavori soltanto se una delibera dell’assemblea gli riconosce ampia autonomia e concreti poteri decisionali; deve invece escludersi la posizione di garanzia quando non risulta dimostrato che il condominio abbia affidato al manager del fabbricato l’incarico di verificare l’idoneità tecnica dell’impresa appaltatrice e il documento di valutazione dei rischi per i lavori. È quanto emerge dalla sentenza 10136/21, pubblicata il 16 marzo dalla quarta sezione penale della Cassazione.
Stretta legalità. Il ricorso dell’imputato è accolto contro le conclusioni del sostituto procuratore generale, che si pronunciava addirittura per l’inammissibilità. Risulta prescritto il delitto di omicidio colposo: l’amministratore è tratto a giudizio dopo la morte della dipendente dell’impresa di pulizia schiacciata dalla cabina dell’ascensore, chiamato in discesa da un condomino mentre la donna sta pulendo le grate. Il tutto perché qualcuno non ha disattivato l’alimentazione dell’elevatore.

Spetterebbe al titolare dell’impresa di pulizia, che ne è pure direttore tecnico, impartire prima ai dipendenti le istruzioni necessarie per l’intervento sulle grate esterne dell’impianto e verificarne poi l’esatta osservanza da parte dei lavoratori.

Va sottolineato poi che al manager del condominio è contestata un’imputazione autonoma dall’accusa mossa all’amministratore della società appaltatrice: non risulta prospettata una cooperazione colposa fra il primo e il secondo, il quale rimane estraneo all’applicazione delle norme antinfortunistiche di competenza del datore.

La sentenza d’appello viene annullata agli effetti civili nei confronti dell’amministratore e del condominio. Impossibile condannare il professionista soltanto perché l’assemblea delibera all’unanimità di sostituire la ditta incaricata in precedenza della manutenzione. Non è chiaro se il nuovo appaltatore venga presentato come affidabile dall’amministratore o da qualcuno dei condomini. Né se sia l’assemblea a valutare l’idoneità dell’impresa di pulizia oppure dia mandato all’amministratore di verificarla. Non si spiega se il documento di valutazione dei rischi sia preso in esame prima dell’affidamento dei lavori né eventualmente da chi. E dunque risulta tutt’altro che appurato se il documento di valutazione dei rischi sia già tenuto in considerazione al momento dell’assemblea o l’amministratore abbia ricevuto un mandato ad hoc.

Sbaglia allora la Corte d’appello a condannare l’imputato perché ignora una questione fondamentale: dal benservito dato al precedente appaltatore delle pulizie desume che l’amministratore sia unico arbitro della situazione e responsabile dell’impostazione del rapporto con la nuova impresa. Ma non indica da quali risultanze arriva alle conclusioni. E dire che l’autonomia di azione del professionista è un profilo legato in modo dissolubile ai temi devoluti al giudice di secondo grado con i motivi di gravame.

Insomma, sussiste la mancanza di motivazione: un vizio che si configura non soltanto quando quest’ultima risulta completamente omessa ma anche quando si rivela priva di singoli momenti esplicativi rispetto alle questioni sulle quali deve vertere il giudizio. Sarà quindi il giudice civile ad accertare se il professionista dovesse o no eseguire pedissequamente le decisioni dei condomini.

Quando affida i lavori, il committente deve verificare che l’appaltatore sia in grado di svolgerli. Come?

Controllando l’iscrizione alla Camera di commercio e a facendosi autocertificare dalla società che l’impresa è in possesso dei requisiti di idoneità tecnico-professionale. Ma è anche tenuto a informare chi dovrà eseguire i lavori dei rischi specifici che si corrono e delle misure di prevenzione ed emergenza che ha adottate in relazione alla sua attività.

Resta allora da capire quali siano i limiti della responsabilità. Non si può ad esempio esigere dal committente un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori, mentre risulta necessario verificare in concreto quale è stata l’incidenza della condotta rispetto all’incidente. Il tutto considerando le capacità organizzative della ditta chiamata a realizzare l’opera, la specificità dei lavori da eseguire, i criteri seguiti per la scelta dell’appaltatore e l’eventuale ingerenza del committente nell’esecuzione dell’appalto. Senza dimenticare che il giudice del merito deve accertare se il committente potesse percepire in modo agevole immediato situazioni di pericolo nel cantiere. E comunque anche se chi commissiona l’opera non mette bocca nello svolgimento dei lavori non esclude di per sé la sussistenza di una posizione di garanzia rispetto agli obblighi di sicurezza: pesano i doveri di cooperazione e informazione propri di chi affida i lavori.

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Fonte: Italia Oggi

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