Il Paese dei pirati. Il reato di omicidio stradale.

Pene miti e alta probabilità di farla franca. Ecco perché conviene più scappare che prestare soccorso

Gli italiani non sono più un popolo di navigatori, in compenso sono diventati un popolo di pirati. Della strada. Gli incidenti in auto sono in lieve calo, mentre in controtendenza il fenomeno delle omissioni di soccorso cresce. Nel primo semestre del 2015 c’è stato un aumento del 4,3 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

I casi sono stati 484, venti in più del primo semestre 2014, con 61 vittime (+5,2%) e 575 feriti (+0,7%). In testa tra le regioni ci sono la Lombardia, 89 episodi, il Veneto, 54, e il Lazio, 52. I dati sono dell’Osservatorio Asaps-Associazione sostenitori amici della polizia stradale, che li raccoglie sul campo grazie a 600 referenti nelle forze dell’ordine. «Perché la pirateria stradale sta dilagando? Perché in Italia scappare dopo un incidente senza dare soccorso alle persone coinvolte tutto sommato conviene. Il pirata sa che può farla franca». Parola di Giordano Biserni, presidente dell’Asaps.

Questione di pene non proporzionate al delitto. Ogni anno sulle strade del nostro Paese cadono circa 5mila vittime. E sono molte le associazioni impegnate per la sicurezza stradale. Tutte sottolineano come chi uccide dopo aver causato un incidente molto spesso non faccia un giorno di carcere. Neppure se aveva bevuto o era drogato e neppure se poi è scappato. Abuso di sostanze, gravi conseguenze e fuga sono tasselli dello stesso mosaico. Mettersi al volante in stato di ebbrezza è come uscire di casa con una pistola carica. Non fermarsi dopo aver ferito o ucciso qualcuno è un comportamento dovuto allo choc? O piuttosto alla lucida volontà di evitare un alcol o un narcotest e quindi conseguenze penali più pesanti? Domande retoriche per Biserni: «Se il pirata viene beccato a distanza di giorni, le verifiche sull’uso di sostanze non hanno più valore legale né hanno senso. Alcol e droga non sono più rilevabili e comunque è impossibile dimostrare che fossero presenti al momento dell’incidente». Lo stesso vale per il fuggiasco «pentito» che si consegna entro le 24 ore stabilite dalla legge per evitare l’arresto. «Non solo. C’è più del 40 per cento di possibilità di non essere mai presi».

Da gennaio a giugno 2015 i pirati individuati sono stati 273, il 56,4 per cento del totale (nello stesso periodo del 2014 erano stati il 59,7%). Di questi, 215 (il 78,8%) sono stati denunciati a piede libero e 58 arrestati (21,2%). Le donne sono state l’8,8 per cento, mentre gli stranieri il 27,1 per cento, con 74 identificati. Gli stranieri vittime della strada sono stati 51, il 10,5 per cento. Quarantanove i pirati per cui è stata accertata l’ebbrezza da alcol o droga, il 17,9 per cento del totale (21,7% nel primo semestre 2014), ma solo nei casi di identificazione poco dopo il fatto. Se si considerano solo le piraterie mortali, il dato legato all’abuso sale al 20,5%: un caso su cinque. E i pirati positivi agli stupefacenti sono stati il 55 per cento in più del gennaio-giugno dello scorso anno (14 contro 9).

LA PAURA METTE IN FUGA

L’Asaps continua a censire le omissioni di soccorso. Alla fine di luglio erano arrivate a 580, con 71 morti, più della metà pedoni. «Sono molte la cause della pirateria – continua il presidente dell’associazione -. La paura di perdere la patente, la mancanza di permesso di soggiorno per gli stranieri, la scopertura assicurativa, fenomeno in crescita anche tra gli italiani: siamo a quota quattro milioni di veicoli (oltre 59mila le infrazioni rilevate dalla Polstrada nel 2014, ndr ). E chi scappa sa che il conto da pagare non sarà troppo salato». Le pene previste vanno da uno a tre anni, più o meno come per un furto, con la sospensione della patente fino a cinque. Ma non dare soccorso dopo uno scontro, anche solo chiamando il 118, può voler dire condannare a morte qualcuno che poteva salvarsi. «Quella della fuga è una questione centrale – aggiunge Biserni -. Parliamo del più bieco dei reati della strada, che è in crescita proprio a causa delle pene irrisorie. Speriamo che l’approvazione della legge sull’omicidio stradale, l’aumento delle pene e la privazione della patente fino a 30 anni, quasi un “ergastolo” della licenza di guida, possano far rinsavire qualche aspirante pirata».

IL NUOVO REATO

L’omicidio stradale, appunto. Sulla carta oggi il killer al volante rischia il carcere da due a sette anni, da tre a dieci se è ubriaco o drogato. Più l’eventuale pena per l’omissione. Di fatto i giudici partono sempre dal minimo della pena e tra attenuanti, patteggiamento e rito abbreviato le sentenze arrivano al massimo a due anni e otto mesi. Cioè, nella maggior parte dei casi, niente prigione. Le associazioni si ribellano: chi uccide alla guida non può essere punito come per un furto con destrezza. Le punizioni vanno inasprite, a partire dalle minime. Il testo sull’omicidio stradale prevede pene da otto a 18 anni, l’obbligo di arresto in flagranza, il ritiro della patente fino a trent’anni e la pena aumentata della metà per i pirati. È stato approvato al Senato a giugno, ora deve passare alla Camera. Matteo Renzi ha promesso il varo entro il 2015. Prima di tutto e pubblicamente l’ha promesso ai genitori di Lorenzo Guarnieri. Quando Renzi era sindaco, nel 2010, Lorenzo è stato ucciso a 17 anni da un uomo ubriaco e drogato alla guida. I genitori, Stefania e Stefano, hanno fondato una onlus nel nome del figlio e sono tra i promotori del nuovo reato insieme all’Asaps e l’Associazione Gabriele Borgogni. «L’assassino di mio figlio non ha fatto un giorno di carcere né di domiciliari – dice Stefano Guarnieri -. Guidava contromano. È stato condannato a due anni e otto mesi e forse con l’applicazione della pena farà volontariato. L’istituzione dell’omicidio stradale potrebbe dare un po’ di giustizia e creare un vero deterrente». Per Guarnieri, serve un cambio di prospettiva. La gente si identifica facilmente con il guidatore omicida, «poteva capitare a chiunque», è il pensiero comune. «Non usiamo i termini “incidente stradale”, come se il colpevole fosse il caso, ma “omicidio” e “violenza stradale” – continua -. Le morti stradali sono il più grave fenomeno di criminalità. Nell’opinione pubblica però resistono tolleranza e buonismo e nei tribunali si danno pene al ribasso. Siccome siamo un po’ tutti indisciplinati alla guida, giustifichiamo chi trasgredisce. Ma così si sta dalla parte degli assassini e non da quella delle vittime».

CORSARI E BUONI MARINAI

L’Associazione italiana familiari e vittime delle strada più che per l’istituzione del nuovo reato è per la modifica, con pene minime innalzate a 12 anni, dell’omicidio colposo commesso «a causa della guida azzardata e temeraria e in stato di alterazione psicofisica». «Non siamo contro l’omicidio stradale – spiega la presidente Giuseppa Cassaniti -. Ma è un errore sottovalutare che all’origine di tutto ci sono gravi trasgressioni che mettono in pericolo diritti fondamentali come vita e salute». Dal testo del nuovo reato sono stati stralciati dalle aggravanti i comportamenti pericolosi al volante come passare col rosso, fare gare di velocità, usare dispositivi elettronici o guidare contromano. Ci si è concentrati unicamente sullo stato di ebbrezza. Una strada sbagliata per l’Aifvs, che propone tra l’altro pene non inferiori a 15 anni per l’omicidio colposo con omissione. Giuseppa Cassaniti ha scritto alle commissioni parlamentari: «Speriamo – aggiunge – che il testo, limitato e zoppicante, venga modificato». Infine l’affondo sui giudici: «Sottovalutano il reato e trasformano la discrezionalità in arbitrarietà. Nei tribunali si sente dire: “Voleva correre, ma non voleva uccidere”. È sbagliato partire dal minimo della pena. I magistrati devono valutare la gravità di un reato in base al danno, alla colpa e al comportamento. Uccidere perché si guida ubriachi e poi scappare non è sufficiente per meritare un inasprimento della pena?».

SOS AUTOMOBILISTI

Contro i pirati è impegnata anche la polizia stradale. «È una condotta dal forte disvalore sociale, oltre che una violazione delle norme», sottolinea Maria Francesca Bruschi, funzionario del servizio. La legge impone a tutti gli «utenti» della strada riconducibili a un incidente con feriti l’obbligo di fermarsi e dare assistenza. «I motivi della fuga vanno dal panico alle condizioni psicofisiche non idonee – continua Bruschi -, per noi è difficile stabilirli, soprattutto se è passato del tempo. Le indagini partono da testimonianze, telecamere di sorveglianza, analisi di parti di auto rimaste sul posto. La tempestività è tutto, sia per il soccorso ai feriti sia per il buon esito delle indagini. I cittadini ci possono aiutare, chiamandoci subito e fornendo elementi utili. Ciascuno può fare la propria parte per fermare i pirati». Come farebbe un buon marinaio.

 

Fonte: ilgiornale.it

Lun, 31/08/2015 – 19:35

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