Nonostante i ritardi sui vaccini e le paure per le nuove varianti del Covid, il Fondo monetario internazionale si aspetta che l’avanzare delle campagne sanitarie possa sostenere la ripresa economica nella seconda parte dell’anno, insieme ai nuovi stimoli fiscali attesi in alcuni Paesi a cominciare dagli Stati Uniti e dal Giappone. Dinamica alla quale sembra sfuggire, almeno per ora, l’Italia attardata nella ripartenza.
Italia, ripresa in ritardo rispetto alle altre economie avanzate
Nell’aggiornamento del World economic outlook, l’istituzione di Washington alza di 0,3 punti percentuali (rispetto a ottobre) al +5,5% la crescita globale del 2021, cui farà seguito un +4,2% nel 2022. L’Italia, a guardare le fredde tabelle del Fmi, sfugge a questa ventata di ottimismo e subisce una pesante sforbiciata alle stime per l’anno in corso: con una previsione di una crescita del Pil al 3%, l’economia tricolore incassa un taglio di 2,2 punti percentuali rispetto alle stime di ottobre e si allontana così dal +6% programmatico indicato dal governo nella Nota di aggiornamento al Def (+5,1% in termini tendenziali).
Non da meno è notare che l’Italia, pur avendo subito una delle peggiori batoste dal Covid nel 2020 (Pil a -9%), sarà la più lenta a ripartire tra le economie avanzate, che in media cresceranno del 4,3%. La Germania è ad esempio accreditata di un +3,5%, la Francia di un +5,5% e la Spagna di un +5,9 per cento. Per il prossimo anno, invece, la previsione sull’Italia guadagna un punto di slancio per attestarsi al +3,6 per cento contro una media delle economie avanzate del +3,1%.
A livello globale, l’aspettativa migliore per il 2021 poggia – oltre che su vaccini e stimoli – su una eredità meno pesante della seconda parte del 2020, durante la quale le economie sembrano “essersi adattate a un’attività senza contatti” umani per l’emergenza sanitaria. La stima sul 2020 è infatti stata portata al -3,5%, 0,9 punti più in alto di quanto precedentemente messo in conto. Il cielo è, in ogni caso, ben lontano dall’essersi rasserenato. La recrudescenza del virus sul finire dell’anno, i nuovi lockdown e le incognite sui piani vaccinali rappresentano ineludibili punti di domanda, insieme alla tenuta delle condizioni finanziarie.
Migliorano Stati Uniti e Giappone grazie agli stimoli. Ma è la Cina a correre
La nuova geografia economica post-Covid sarà dettata da un differente ritmo di ripresa a seconda della capacità di contenere il virus e di mettere in campo supporti fiscali per imprese e famiglie. Tra le economie avanzate, che in particolare su questo secondo aspetto si sono fatte trovare pronte, Stati Uniti (visti quest’anno a +5,1%, due punti percentuali sopra la stima di ottobre) e Giappone (+3,1%, 0,8 punti di miglioramento) dovrebbero recuperare i livelli di attiivtà di fine 2019 già nella seconda metà dell’anno, mentre il Regno Unito non ce la farà ancora nel 2022. In generale tutta l’Eurozona paga un prezzo alla ricaduta autunnale con un taglio delle stime per il 2021 di un punto al +4,2 per cento.
Tra le altre economie, una storia a sé la racconta la Cina: dopo il +2,3% con cui si dovrebbe esser chiuso il 2020, salirà dell’8,1% quest’anno e del 5,6% il prossimo (valori solo frazionalmente modificati rispetto a ottobre). Si allarga dunque la forbice della ripresa con il resto del mondo. Come mostra un grafico dell’Outlook, fatto 100 il Pil alla fine del 2019 la Cina sarà capace di portarlo intorno a 117 punti alla fine del 2022, mentre le economie avanzate nel complesso saranno ancora a 102.
A pagare maggiormente dazio saranno le economie basate sull’export del petrolio e sul turismo, considerando le prospettive di prezzi ancora bassi per le materie prime e gli ostacoli ai viaggi internazionali.
Povertà, in 90 milioni scenderanno sotto la soglia
Riprendendo quanto spiegato già nel World economic outlook di ottobre, il Fmi ricorda che la pandemia invertirà i progressi fatti sulla riduzione della povertà negli ultimi vent’anni: “Quasi 90 milioni di persone probabilmente scenderanno sotto la soglia della povertà durante il 2020-21” si legge nel Weo. L’impatto occupazionale della crisi, poi, è ancora enorme: nei soli Stati Uniti, si ricorda, ci sono 9 milioni di persone con un livello di occupazione inferiore rispetto al febbraio 2020. Per di più sono stati proprio i più deboli – lavoratori meno formati, donne, giovani, quelli dei settori che prevedono forti contatti umani, i cosiddetti lavoratori “informali” – a pagare il prezzo più caro. Rispetto alle previsioni pre-pandemia, scrive la capo economista Gita Gopinath nel suo blog, le perdite legate al Covid nella produzione mondiale ammontano a 22 mila miliardi di dollari, nel periodo 2020-2025: “Centocinquanta paesi nel 2021 avranno redditi pro capite inferiori ai livelli del 2019”, aggiunge Gopinath.
“Ancora stimoli”
Agli Stati, il Fmi ricorda la necessità di continuare a dare massimo supporto (nel 2020, a differenza delle altre recessioni non c’è stato un aumento delle bancarotte ma una loro diminuzione) finché i vaccini non consentiranno una ripresa delle attività, con uno sguardo sul futuro per porre le economie su un sentiero di crescita resiliente ed equa. Al primo posto, resta l’esigenza di sostenere la sanità. “E’ necessario agire rapidamente per un ampio accesso ai vaccini e medicinali” contro il Covid per “correggere le profonde disuguaglianze che esistono al momento”, scrive Gopinath.
Fonte: Repubblica.it