Written by 14:25 Economia, Tutte le News

Cosa sta succedendo alle materie prime?

crisi materie prime

Rame, chip, caffè: manca tutto. La strozzatura delle supply chain globali del 2021 passerà alla storia per essere una delle peggiori di sempre

Rame, ferro, acciaio, ma anche mais, grano, soia e caffè. E ancora: plastica, semiconduttori, cartone per imballaggio. Il mondo sembra improvvisamente essere finito in un incubo nel quale manca ogni commodity, industriale o agricola che sia. La strozzatura delle catene di fornitura globale del 2021 passerà alla storia per essere stata il la peggiore nella storia delle supply chains. Con effetti che colpiscono un po’ tutti, dalle multinazionali alle Pmi, finendo poi per scaricarsi sui consumatori finali.

Qualche esempio? La crisi dei chip prende di mira l’automotive (e non solo), la carenza di alluminio fa deragliare il settore beverage, manca persino la schiuma di poliuretano necessaria a fabbricare materassi. Un vero e proprio tunnel, il più lungo che il global business ricordi, e di cui non si vede ancora l’uscita.

Le cause di questo caos sono tante. Ci sono state le gelate di febbraio negli Stati Uniti, con i conseguenti blackout che hanno paralizzato l’industria petrolchimica. Il blocco del canale di Suez a marzo per un incidente. Le ondate di siccità e quelle di coronavirus, che hanno colpito in particolare i porti indiani. Gli hacker informatici che sono riusciti a paralizzare il maggior oleodotto americano.

Il caos dei porti cinesi

Ma il problema numero uno della “supply chain disruption”, come la chiamano gli esperti, si chiama Cina. «La politica “zero Covid” che aveva così brillantemente trainato l’export del Dragone nei primi mesi di pandemia oggi si sta rivelando controproducente, poiché intere città vengono regolarmente messe in lockdown non appena si registrano pochi casi di coronavirus – spiegano al Sole 24 Ore Aravindan Jegannathan e Fabrice Jacob di JK Capital Management, società del gruppo La Française – . Tutto ciò ha un impatto diretto sui centri di logistica e sui porti di container».

Gli analisti del trasporto hanno descritto l’impatto sugli scambi mondiali di questo evento come il peggiore dal blocco della nave portacontainer nel canale di Suez lo scorso marzo, incidente durato sei giorni. E la chiusura del porto di Ningbo ad agosto si è verificata soltanto due mesi dopo una situazione simile in un altro colossale scalo cinese di container, quello di Shenzhen-Yantian.

Gestione merci in tilt

La politica cinese “zero Covid” ha dilatato i tempi all’inverosimile, anche per le misure di quarantena a cui sono sottoposti gli equipaggi delle portacontainer. «La procedura standard per le navi che attraccano in un qualsiasi porto del mondo prevede due giorni di test per l’equipaggio e per la merce, ma anche due giorni di test prima che una nave vada nel bacino di carenaggio – spiegano gli analisti di JK Capital Management – . Un tipico viaggio andata e ritorno da Shanghai a Los Angeles, che prima della pandemia durava cinque settimane, ora si è allungato a otto, per via delle restrizioni Covid e delle misure di sicurezza attuate nei porti».

Il tutto ha creato ingorghi colossali negli scali, portando i prezzi alle stelle. Il bello è che la scarsità di container ha finito per essere più drammatica della penuria di navi, per via della ridotta capacità di movimentazione dei porti: il risultato è che i bastimenti lasciano i container abbandonati negli scali e iniziano quanto prima il nuovo viaggio, dal momento che tenere una nave vuota nel porto in attesa che i container vengano riforniti oggi è un salasso incredibile, con i prezzi dei noli che hanno raggiunto livelli stratosferici.

Persino gli stessi container sono stati travolti dal caos delle supply chains. «Secondo Singamas Container Holdings, una delle più grandi case produttrici al mondo, un container di venti piedi in acciaio Corten ha un prezzo medio di 3175 dollari nella prima metà del 2021 – sottolineano Jegannathan e Jacob – : lo stesso container aveva un prezzo medio di vendita di 1830 dollari nella prima metà del 2020, con uno stratosferico aumento del 73% in un anno. Il prezzo dell’acciaio Corten è salito nello stesso periodo da 535 a 764 dollari a tonnellata, una crescita del 43%. E i prezzi continuano ad aumentare”.

L’ultimo problema si chiama Natale

Il peggio, che deve ancora arrivare. Di solito gli ordini ai fornitori cinesi vengono effettuati ad agosto-settembre, per una consegna a inizio dicembre, ma a causa dell’incertezza sui ritardi delle spedizioni sembra che i rivenditori occidentali stiano ordinando molto più del solito, in diversi lotti, per evitare che gli scaffali restino vuoti durante il periodo natalizio.

«Abbiamo sentito di alcuni rivenditori che hanno ordinato fino al doppio di quanto farebbero normalmente, per minimizzare il rischio – spiegano gli analisti di JK Capital Management – . Tutto questo l’anno prossimo avrà un impatto notevole per gli esportatori cinesi, dal momento che gli ordinativi gonfiati di oggi saranno seguiti da un aggiustamento post-Natale, dovuto a una forte riduzione delle scorte da parte degli stessi rivenditori».

Quanto durerà la crisi?

Quando usciremo dal tunnel? Per fortuna il delirio prima o poi finirà: dal prossimo anno aumenterà la capacità dei container, mentre la domanda dovrebbe rallentare. Ma la politica impietosa “zero-Covid” della Cina non aiuta (e non ci sono segnali di un ammorbidimento).

«Ci aspettiamo ulteriori lockdown delle infrastrutture portuali e maggiori disagi nelle prossime settimane – concludono Jegannathan e Jacob – visto che la variante Delta si sta diffondendo rapidamente in tutto il mondo. Al momento, l’opinione prevalente nel settore vede gli ingorghi durare almeno fino alla fine del 2022, o anche oltre, visto che non vi sono segni di miglioramento all’orizzonte».

Fonte: Il Sole 24 Ore

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