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Longevità: il risparmio previdenziale non la sottovaluti

Longevità: il risparmio previdenziale non la sottovaluti

Per i risparmiatori e per gli stessi fondi pensione vivere più a lungo non è (solo) una buona notizia

Cosa significa per il risparmio pensionistico questo fenomeno e quali soluzioni si renderanno più importanti per limitare il rischio di “vivere più a lungo dei propri risparmi”. Lo chiamano longevity risk. Vivere più a lungo del previsto, si potrebbe dire per fortuna, è anche un rischio del quale risparmiatori e fondi pensione dovranno occuparsi con crescente attenzione nei prossimi anni. Per chi pianifica la propria vita dopo il lavoro, fare male i calcoli sulla propria aspettativa di vita potrebbe concretizzare la minaccia di vivere più a lungo dei propri risparmi – erosi da uno stile di vita che, invece, si prevedeva di poter mantenere. Per una compagnia che ha promesso un reddito ai propri assistiti per tutto il periodo del pensionamento, invece, il rischio longevità può comportare perdite di denaro importanti. Secondo uno studio Ocse del 2014, sbagliare le stime sulla mortalità futura potrebbe generare, per i fondi pensione, un ammanco “ben superiore al 10% delle proprie passività”. Anche chi avrà deciso di costruirsi in autonomia il proprio risparmio previdenziale integrativo dovrà dedicarsi ad analoghe considerazioni. Fare bene i calcoli, dunque, è la base di partenza per garantirsi un risparmio previdenziale adeguato alle proprie attese con migliore probabilità. Cosa sappiamo, allora, sull’aumento dell’aspettativa di vita nel mondo? Oggi, secondo i dati della Banca Mondiale, l’aspettativa di vita è di 70 anni di vita per gli uomini e di 75 anni per le donne. In Italia, uno dei Paesi più longevi al mondo assieme al Giappone, gli anni di vita cui possono aspirare i nuovi nati salgono rispettivamente a 79,7 e 84,4 anni per uomini e donne – nonostante i ritocchi al ribasso effettuati dall’Istat in seguito al Covid-19.

Nel mondo, la quota degli over 65 passerà, fra il 2019 e il 2050, dal 9 al 16%; in Europa e Nord America il loro numero aumenterà del 48%

Entro il 2050, si prevede che la popolazione con almeno 100 anni di vita sulle spalle arriverà a 3,7 milioni; nel 1990 gli ultracentenari erano appena 95mila in tutto il mondo. E ancora, gli over 65 globali diventeranno dai 703 milioni del 2019 a 1,5 miliardi nel 2050; parallelamente, la loro incidenza sulla popolazione mondiale passerà dal 9 al 16%, ha affermato uno studio Onu. Anche se la crescita della longevità si osserverà soprattutto i Paesi in via di sviluppo, anche in Europa e Nord America il numero degli over 65 è previsto in crescita del 48% fra il 2019 e il 2050.

La costante crescita dell’aspettativa di vita dell’essere umano, che è possibile osservare nel grafico in basso, ha spinto gli scienziati a domandarsi quali siano i limiti biologici della longevità. La risposta, emersa da uno studio pubblicato lo scorso giugno su Nature Communication, è che il limite massimo posto dalla biologia si trovi intorno ai 150 anni di vita. Non sappiamo se e quando questo traguardo potrà essere raggiunto da un numero significativo di persone (la donna più longeva di cui si ha conoscenza certa è vissuta per 122 anni), ma è legittimo supporre il progresso della scienza medica continuerà a spingere oltre l’aspettativa di vita.

Questo fenomeno ha evidenti implicazioni anche per i sistemi previdenziali pubblici, che da tempo hanno indicato lo spostamento in avanti dell’età pensionabile come elemento essenziale per equilibrare l’incremento delle spese dovute a una vita media più lunga. Non è chiaro, però, quanto quest’ultima sarà equamente distribuita. Già oggi, ha affermato l’Ocse, in 25 Paesi sviluppati i un 30enne nella fascia di istruzione più alta può aspirare a una vita più lunga di ben sei anni rispetto a un suo coetaneo che ha solo completato la scuola dell’obbligo.

Per i pensionati italiani, almeno per il momento, il problema delle soluzioni di reddito “a vita” sembra meno pronunciato rispetto al resto del mondo sviluppato. Infatti, a fronte di contributi previdenziali obbligatori nettamente più elevati, il tasso di sostituzione della pensione pubblica italiana è fra i più elevati al mondo. Secondo i dati Ocse, il pensionato italiano percepisce mediamente il 91,8% del suo precedente reddito lavorativo: è il quarto dato più elevato al mondo. Negli Stati Uniti, decisamente più inclini a una pianificazione pensionistica autonoma, il tasso di sostituzione è inferiore al 50%, mentre la media Ocse è al 58,6%. Il dubbio è, però, il seguente: per quanto tempo l’Italia riuscirà a mantenere in piedi questo modello.

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Fonte: We Wealth

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