Supermario: spetta ora a Mario Draghi affrontare una nuova sfida. L’italiano che ha salvato l’Europa dovrà ora essere in grado, con il suo prestigio, di coagulare una solida maggioranza parlamentare. Il suo nome ha attraversato fin dall’inizio il confronto e il dibattito che si è aperto con le dimissioni del premier Conte, tanto da essere considerato da subito l’unico in grado di sciogliere la matassa del confronto che sembra aver imbrigliato la politica, l’ultima carta prima delle elezioni per affrontare le difficoltà sanitarie, sociali, economiche provocate dal Covid. E vincere la sfida che il Paese deve gestire con i fondi europei.
Supermario: spetta ora a Mario Draghi affrontare una nuova sfida. L’italiano che ha salvato l’Europa dovrà ora essere in grado, con il suo prestigio, di coagulare una solida maggioranza parlamentare. Il suo nome ha attraversato fin dall’inizio il confronto e il dibattito che si è aperto con le dimissioni del premier Conte, tanto da essere considerato da subito l’unico in grado di sciogliere la matassa del confronto che sembra aver imbrigliato la politica, l’ultima carta prima delle elezioni per affrontare le difficoltà sanitarie, sociali, economiche provocate dal Covid. E vincere la sfida che il Paese deve gestire con i fondi europei.
Supermario, appunto. Come Draghi ha dimostrato alla guida della Bce, salvaguardando con rigore i principi dell’Europa ma nel contempo riuscendo a fare da scudo alle difficoltà e contraddizioni dell’Unione anche nei confronti dei mercati. Supermario. Laurea alla Sapienza e master al Mit di Boston, Draghi è stato direttore generale del Tesoro – con il ministro Carlo Azeglio Ciampi, il primo tra i Ciampi boys – dove ha gestito la stagione delle privatizzazioni. Una breve parentesi a Goldman Sachs e poi ha ricoperto il ruolo di governatore della Banca d’Italia, una carica che l’ha catapultato negli snodi internazionali del Financial Stability Board e nella Bce come membro del consiglio.
Ma per tutti Mario Draghi è l’uomo che ha salvato l’Europa, quando nel 2011 ha visto coagularsi sulla sua candidatura anche il consenso dei Paesi più attenti ai conti pubblici, Germania compresa. Il suo debutto è stato fulminante con il ‘whatever it takes’, tre parole in inglese (”tutto ciò che serve”), in grado di fermare i mercati e di fare da scudo al Paesi in tensione per l’andamento dei tassi sui titoli di Stato. Parole alle quali sono seguiti fatti, in un’accorta gestione di parole e decisioni, culminate nel quantitative easing: l’impegno della Bce – e delle banche centrali dei diversi Paesi europei – a sostenere i loro titoli sul mercato. Di fatto ha cambiato la ‘cassetta degli attrezzi’ della Bce senza snaturarne il ruolo.
“Il futuro? Chiedete a mia moglie”, ha detto lasciando la Bce alla guida di Christine Lagarde. Ma già da prima la politica lo candidava nei ruoli più importanti. Impossibile negare che, anche prima dell’attuale crisi politica, in molti hanno pensato a lui come il possibile successore di Mattarella alla Presidenza della Repubblica, visto che l’attuale inquilino del Colle ha fatto sapere di non pensare ad un nuovo settennato. Defilatissimo rispetto alla politica, Supermario ha la capacità di mantenere grande equilibrio, senza nascondere la sua opinione. “Ci troviamo di fronte a una guerra contro il coronavirus e dobbiamo muoverci di conseguenza”, ha detto rompendo il silenzio dopo l’uscita dalla Bce con un intervento pubblicato lo scorso marzo sul Financial Times. “Il costo dell’esitazione potrebbe essere irreversibile”, ha quindi aggiunto, con un monito che appare in piena sintonia con l’urgenza e i timori espressi in serata da Mattarella. Quest’estate il suo intervento per focalizzare l’attenzione sui giovani, chiedendo ai Paesi di intervenire per garantire liquidità alle imprese e sostenere i redditi, anche a discapito dell’aumento del debito. L’ultimo messaggio, a dicembre, sulla sfida che l’Italia deve ora affrontare, quella del Recovery Fund. “La sostenibilità del debito pubblico in un certo Paese sarà giudicata sulla base della crescita e quindi anche di come verranno spese le risorse di Next Generation Eu”, una frase accompagnata da un monito ai Paesi sull’utilizzo delle risorse: “Se saranno sprecate il debito alla fine diventerà insostenibile perché i progetti finanziati non produrranno crescita”.
Ma per tutti Mario Draghi è l’uomo che ha salvato l’Europa, quando nel 2011 ha visto coagularsi sulla sua candidatura anche il consenso dei Paesi più attenti ai conti pubblici, Germania compresa. Il suo debutto è stato fulminante con il ‘whatever it takes’, tre parole in inglese (”tutto ciò che serve”), in grado di fermare i mercati e di fare da scudo al Paesi in tensione per l’andamento dei tassi sui titoli di Stato. Parole alle quali sono seguiti fatti, in un’accorta gestione di parole e decisioni, culminate nel quantitative easing: l’impegno della Bce – e delle banche centrali dei diversi Paesi europei – a sostenere i loro titoli sul mercato. Di fatto ha cambiato la ‘cassetta degli attrezzi’ della Bce senza snaturarne il ruolo.
“Il futuro? Chiedete a mia moglie”, ha detto lasciando la Bce alla guida di Christine Lagarde. Ma già da prima la politica lo candidava nei ruoli più importanti. Impossibile negare che, anche prima dell’attuale crisi politica, in molti hanno pensato a lui come il possibile successore di Mattarella alla Presidenza della Repubblica, visto che l’attuale inquilino del Colle ha fatto sapere di non pensare ad un nuovo settennato. Defilatissimo rispetto alla politica, Supermario ha la capacità di mantenere grande equilibrio, senza nascondere la sua opinione. “Ci troviamo di fronte a una guerra contro il coronavirus e dobbiamo muoverci di conseguenza”, ha detto rompendo il silenzio dopo l’uscita dalla Bce con un intervento pubblicato lo scorso marzo sul Financial Times. “Il costo dell’esitazione potrebbe essere irreversibile”, ha quindi aggiunto, con un monito che appare in piena sintonia con l’urgenza e i timori espressi in serata da Mattarella. Quest’estate il suo intervento per focalizzare l’attenzione sui giovani, chiedendo ai Paesi di intervenire per garantire liquidità alle imprese e sostenere i redditi, anche a discapito dell’aumento del debito. L’ultimo messaggio, a dicembre, sulla sfida che l’Italia deve ora affrontare, quella del Recovery Fund. “La sostenibilità del debito pubblico in un certo Paese sarà giudicata sulla base della crescita e quindi anche di come verranno spese le risorse di Next Generation Eu”, una frase accompagnata da un monito ai Paesi sull’utilizzo delle risorse: “Se saranno sprecate il debito alla fine diventerà insostenibile perché i progetti finanziati non produrranno crescita”.
Fonte: LaSicilia.it